Stipendi italiani in caduta libera | Un'emorragia di talenti che potrebbe cambiare il futuro del Paese!
Scopri perché gli stipendi bassi in Italia sono un problema cruciale: legame tra salari e produttività, giovani in fuga e spesa limitata! 💼📉✨

Livolsi: “Il vero problema in Italia sono gli stipendi troppo bassi”
ROMA – Negli ultimi giorni, il dibattito sul lavoro è tornato alla ribalta, complici i referendum che si sono svolti recentemente. Mentre molti si interrogano sull’esito di queste consultazioni e sulla loro cornice normativa, il professore Ubaldo Livolsi, esperto di Corporate Finance e fondatore di Livolsi & Partners S.p.A., punta il dito su un problema cruciale: i salari in Italia sono troppo bassi.
“Secondo l’Ocse, l’Italia è l’unico Paese europeo dove i salari reali medi nel 2020 erano inferiori rispetto al 1990”, sottolinea Livolsi. Questo dato spiazzante è solo la punta dell’iceberg. Nel 2022, i salari reali hanno registrato un ulteriore calo del 7,3% rispetto all’anno precedente, portando a un quadro desolante che conta oltre 10,9 milioni di lavoratori nel settore privato con stipendi al di sotto dei 25.000 euro lordi annui. Di questi, più di sei milioni guadagnano meno di 15.000 euro, ovvero meno di 1.000 euro netti al mese.
I salari insoddisfacenti si riflettono inevitabilmente sulla capacità di spesa delle famiglie. Secondo i dati dell’Istat, nel 2023, la spesa delle famiglie e della pubblica amministrazione ha rappresentato il 78,8% del PIL italiano, un rapporto che rivela la fragilità dell’economia nazionale, la quale è fortemente dipendente dalla domanda interna.
Anche l’impatto demografico è allarmante. Livolsi riporta che nel 2024, oltre 156.000 italiani hanno lasciato il Paese, a fronte di soli 53.000 rientri. Questo saldo potrebbe essere sottostimato; infatti, tra il 2011 e il 2023, oltre 550.000 giovani sotto i 35 anni hanno cancellato la propria residenza, con la previsione che il numero effettivo degli emigrati superi il milione.
“Il legame tra salari bassi e produttività è diretto”, sostiene Livolsi. La produttività, misurata come valore aggiunto per ora lavorata, ha visto un calo del 2,5% nel 2023, con una crescita media annua dello 0,5% dal 2014 al 2023. In contrasto, la media europea si attesta all’1,1%. Senza un incremento della produttività, le aziende si trovano con pochi margini per aumentare i salari, contribuendo a una spirale negativa che affligge il mercato del lavoro.
“Il problema non è solo creare occupazione, ma anche dare al lavoro un riconoscimento adeguato”, conclude Livolsi. Se non si interviene su produttività, formazione e distribuzione della ricchezza prodotta, il lavoro in Italia continuerà a valere meno di quanto dovrebbe.
Il quadro dipinto da Livolsi offre una prospettiva preoccupante ma necessaria per comprendere le sfide che il Paese deve affrontare per invertire la rotta e garantire un futuro sostenibile ai suoi lavoratori.