La straordinaria rinascita di Iwao Hakamada: assolto dopo 50 anni nel braccio della morte e il peso di un’ingiustizia senza fine
Assolto a 88 anni, Iwao Hakamada scrive il suo lieto fine dopo oltre 50 anni nel braccio della morte! Una storia incredibile di giustizia e speranza. 🎉💔✨
Assolto a 88 anni dopo oltre 50 anni nel braccio della morte: la drammatica storia di Iwao Hakamada
Roma – Dopo più di mezzo secolo di ingiusta detenzione, l’ex pugile giapponese Iwao Hakamada è stato finalmente scagionato da un tribunale di Shizuoka, rendendo la sua vicenda una delle più strazianti e al contempo liberatorie della storia recente. All’età di 88 anni, Hakamada è stato riconosciuto innocente dopo essere stato condannato a morte nel 1980 per quattro omicidi mai avvenuti nel 1966.
La sua storia inizia nel 1968, quando Hakamada viene arrestato e condannato per l’omicidio di una famiglia, un’accusa che sembrava priva di prove concrete e di movente chiaro. È da quell’anno che inizia il suo incubo: più di cinquanta anni nel braccio della morte, un periodo contrassegnato da sofferenze indicibili e un isolamento insopportabile. Un’assurda confessione, estorta dopo venti giorni di torture, aveva portato alla sua condanna.
Dopo essere rimasto in carcere per 35 anni, Hakamada ha visto la sua vita cambiare nel 2014, quando è stato finalmente scarcerato grazie agli sforzi dei suoi avvocati. Questi ultimi avevano chiesto di riaprire il caso sulla base di nuove prove scientifiche. Nel 2008, un test del DNA effettuato su indumenti ritenuti compromettenti dal pubblico ministero smascherò la verità : le tracce di sangue non appartenevano a lui né alle presunte vittime.
La battaglia legale di Hakamada non si è fermata alla scarcerazione, ma è proseguita con un complicato iter tra l’Alta Corte di Tokyo e la Corte Suprema. Finalmente, oggi, la giustizia ha trionfato: Hakamada è stato assolto ufficialmente. Questa vicenda evidenzia non solo un grave errore giudiziario, ma solleva interrogativi etici sul sistema penale giapponese e sull’uso della pena di morte.
Mentre il mondo festeggia la sua libertà tardiva, Hakamada vive in condizioni di salute precarie, e il suo caso rimane un monito sulla fragilità della giustizia e sull’importanza di garantire diritti fondamentali. La sua storia, paragonata a un finale da film, è una testimonianza di resilienza e speranza in un sistema che, troppo spesso, ha fallito nel proteggere i suoi cittadini.