Deportato per errore in un carcere di gang: la shocking reazione di Trump e Bukele che lascia il mondo senza parole! | Chi altro rischia di subire lo stesso destino?
Deportato per errore in una prigione di El Salvador, Abrego è simbolo della crisi dello stato di diritto. Trump e Bukele si divertono. 🏛️✈️⚖️

Deportato per errore alle gang in prigione: il dramma di Abrego Garcia tra il disinteresse di Trump e Bukele
*ROMA – Il caso di Kilmar Armando Abrego Garcia, un cittadino salvadoregno residente nel Maryland, si trasforma in un simbolo drammatico delle politiche di immigrazione attuali e della cooperazione tra potenti autoritari. Padre di tre figli, Abrego è stato deportato in El Salvador a causa di un “errore amministrativo”, risultato da un’errata interpretazione di un tatuaggio. Nonostante l’ordine della Corte Suprema americana di garantire il suo rientro, i leader di Stati Uniti ed El Salvador ridono, mentre il destino di Abrego si complica sempre di più.**
Nella conferenza stampa di lunedì, il presidente salvadoregno Nayib Bukele ha risposto con una smorfia quando gli è stato chiesto se avesse intenzione di rimpatriare Abrego. “Certo che non lo farò”, ha dichiarato, mentre accanto a lui Trump annuiva, compiaciuto, in un evidente atto di disprezzo per quelle che si potrebbero considerare basi giuridiche.
Il contesto legale in cui si muovono questi leader è preoccupante, con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che ignora le scadenze giudiziarie e riduce le sentenze della Corte a meri “suggerimenti”. Inoltre, le autorità hanno riesumato una legge datata 1798, l’Alien Enemies Act, per giustificare deportazioni rapide verso paesi amiche.
La vita di Abrego è ora intrappolata nel famigerato CECOT, il carcere di massima sicurezza emblematico del regime di Bukele, noto per le sue condizioni disumane e le celle sovraffollate. Anche se l’ambasciata americana ha affermato che Abrego è “vivo e al sicuro”, la sua situazione getta una lunga ombra sulla credibilità del sistema legale e sui diritti umani.
La moglie di Abrego, Jennifer Vasquez Sura, ha descritto la situazione come “giochi politici sulla pelle di mio marito”, evidenziando come l’intero processo sia influenzato da manovre di potere piuttosto che da una reale preoccupazione per la giustizia.
Trump, nel suo stile provocatorio, ha iniziato a considerare anche la possibilità di deportare delinquenti americani in prigioni centroamericane, una proposta che ha suscitato sia paura che indignazione. “Se sono violenti, perché no?”, ha esclamato, massimizzando il suo appeal tra le schiere di supporto che prediligono metodi assertivi e privi di pietà.
Nel frattempo, Abrego rimane invisibile, un “detenuto di scambio” in un gioco di potere dove la legalità è ridotta a un fastidio. Al momento, dieci nuovi presunti membri di una gang sono stati deportati in El Salvador, senza alcuna certezza sui loro reati o sulla loro pericolosità. In un contesto del genere, basta un tatuaggio sospetto o un abbigliamento inappropriato per meritare l’esilio in un ambiente carcerario di orrore.
Il caso di Abrego rappresenta una crisi dello stato di diritto, come la definisce il professor Stephen Vladeck. Se le autorità possono ignorare le leggi per un singolo cittadino, non c’è da stupirsi se tale trattamento possa essere esteso a molti altri. Mentre Bukele raccoglie consensi per il suo operato e Trump si rafforza nell’immagine di uomo forte accanto a un alleato di ferro, Kilmar Abrego Garcia rimane tristemente una “cartolina dall’inferno”, un simbolo di un sistema in rotta.