Marrone (Iai): "Le infrastrutture 'dual use' in 5% Pil italiano per Nato"
(Adnkronos) - Il 5% del Pil è quanto richiesto dalla Nato ai paesi membri per la Difesa, in particolare quelli europei che faticano ad adeguarsi, di cui il “3,5% da destinare alle forze armate e 1,5% per infrastrutture critiche e resilie

(Adnkronos) - Il 5% del Pil è quanto richiesto dalla Nato ai paesi membri per la Difesa, in particolare quelli europei che faticano ad adeguarsi, di cui il “3,5% da destinare alle forze armate e 1,5% per infrastrutture critiche e resilienza, dunque anche porti e aeroporti”, spiega all'Adnkronos Alessandro Marrone, responsabile del programma difesa, sicurezza e spazio dell’Istituto affari internazionali. È il “dual use” citato dall’ambasciatore Usa alla Nato Matthew Whitaker, durante il Forum strategico di Bled in Slovenia, in cui si è detto contrario a forme di “contabilità creativa” da parte degli alleati: no “ponti che non hanno alcun valore militare strategico” o “le scuole che in un mondo immaginario potrebbero essere usate per qualche scopo militare”. In questo 1,5%, accusano le opposizioni, il governo italiano avrebbe voluto far rientrare i costi per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina che, assicura il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in una nota, “non è in discussione e non prevede fondi destinati alla difesa”.
Sotto la voce di infrastrutture dual use, “ricadono quelle che servono per spostare truppe ed equipaggiamenti militari verso il fianco est per deterrenza e difesa dalla Russia, questa è la priorità della Nato ed è quello che hanno concordato i capi di stato e di governo”, prosegue Marrone. “Per l'Italia questo vuol dire i porti sull'Adriatico, da cui partirebbero le navi per fornire truppe e materiali in particolare verso l'Europa sud-orientale, e gli aeroporti vicino a basi militari italiane, per esempio la Nato Rapid Deployable Corps a Solbiate Olona in Lombardia. La forza di reazione rapida dell’alleanza atlantica dovrebbe essere portata per via aerea verso il fronte est, dunque Paesi baltici, Polonia, Scandinavia. Infine, infrastrutture ferroviarie e stradali che dal nord Italia vanno verso est e nordest. Questo è ciò che ha senso per la logistica militare in Europa in chiave di deterrenza e difesa nei confronti della Russia”.
Riguardo al ponte sullo stretto di Messina, “le basi principali in Sicilia sono dell'Aeronautica a Trapani-Birgi o sono installazioni di sorveglianza come la Ground Surveillance Nato a Sigonella, non ne hanno bisogno. Sarebbe una forzatura. Ci sono i piani regionali per la logistica, per assicurare la deterrenza e difesa del fianco est, che specificano come i rinforzi da tutti i paesi Nato, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Canada, Norvegia, devono affluire rapidamente verso i paesi che confinano con Russia o Bielorussia per assicurare deterrenza e difesa. È questa la chiave con cui si valuta in termini strategici, politico-militari, la rilevanza di un'infrastruttura per deterrenza e difesa collettiva”.
Capitolo che rientra a pieno titolo nella soglia di spesa indicata dalla Nato è quello della cybersicurezza, visto l'aumento degli attacchi hacker a ministeri, sistema sanitario e istituzioni in Italia. “La Russia è sospettata di aver compiuto diversi attacchi cibernetici. Un attacco può provocare danni gravi sia alle infrastrutture militari sia a quelle critiche civili, energia, trasporti, a danno della capacità del paese di difendere la propria popolazione e la propria economia. Gli investimenti in questo senso possono rientrare nel 5%”, conclude Marrone. “Fondi che sono già spesi dalla agenzia nazionale per la cybersicurezza, dai servizi di intelligence, dalle forze armate o dalle istituzioni dello stato ai fini della cybersecurity possono essere rendicontati in quel 1,5%".