Addio alla pubblicità politica sui social. Ma chi ha speso tanto, ha incassato pochi voti
(Adnkronos) - Da lunedì scorso è scattato il blocco annunciato già in estate da Meta e Google che mette la parola fine a tutta la pubblicità politica, elettorale e sociale nell’Unione Europea e di conseguenza anche in Italia, in risposta


(Adnkronos) - Da lunedì scorso è scattato il blocco annunciato già in estate da Meta e Google che mette la parola fine a tutta la pubblicità politica, elettorale e sociale nell’Unione Europea e di conseguenza anche in Italia, in risposta all’adozione della regolamentazione derivante dal Dsa, il Digital Service Act. “Gli annunci a pagamento che erano diventati in questi anni una irrinunciabile strategia di investimento per potenziare la comunicazione politica e la propaganda elettorale dei candidati, dalle amministrative alle politiche, dai referendum alle europee, sono definitivamente morti e sepolti. Almeno per il momento e salvo accordi futuri che sembrano ancora molto lontani”, spiega all’Adnkronos Domenico Giordano dell’agenzia di comunicazione Arcadia.
Dal 2018 a oggi, le ultime elezioni italiane dove i partiti, le liste, i candidati e i leader hanno avuto la possibilità di investire (poche centinaia o diverse migliaia di euro a seconda degli obiettivi e delle esigenze), per amplificare la visibilità dei loro post o per dirottare il traffico di utenti verso i loro siti e account, sono state quelle calabresi.
Da poche ore, infatti le due Big Tech hanno attivato il blocco agli annunci sponsorizzati: “dall’inizio di ottobre – si poteva già leggere a luglio scorso sul sul blog aziendale di Meta – non consentiremo più la pubblicità politica, elettorale e sociale sulle nostre piattaforme. Si tratta di una decisione difficile, presa in risposta al nuovo regolamento sulla trasparenza e la profilazione della pubblicità politica che introduce notevoli sfide operative e incertezze giuridiche”.
“Quindi”, prosegue Giordano, “con buona pace dei social media manager che fino a ieri erano chiamati a scegliere la miglior profilazione possibile per raggiungere e coinvolgere un pubblico selezionato in base ai criteri di residenza, di età, di genere e, ancora di più, in considerazione dei loro specifici interessi, questo modello di presidio delle piattaforme è stato completamente stravolto. Una rivoluzione che impone ad alcuni leader di ripensare del tutto la narrazione social, le cornici del racconto quotidiano e del rapporto con i follower. In particolare, per quei leader che più di tutti hanno spinto in questi anni sull’acceleratore della pubblicità a pagamento”.
Tra questi ci sono, rivela l’esperto, Matteo Renzi e Carlo Calenda che dal 2018 a oggi rispettivamente hanno sponsorizzato 3.200 e 1.100 post, mentre il segretario leghista e vice premier Matteo Salvini è arrivato a promuovere 810 contenuti a pagamento. A investire migliaia di euro con Meta è stato, dalla campagna elettorale delle politiche del 2022, anche il leader del M5S Giuseppe Conte che ha promosso a pagamento 190 contenuti.
Sotto questa soglia c’è Giorgia Meloni, che negli ultimi 3 anni non ha investito neanche un euro – a differenza del suo partito Fratelli d’Italia – sponsorizzando solo 170 post. “La mancata adesione di Meta e Google alle regole imposte dal Transparency and Targeting of Political Adversting (l’acronimo inglese è Tppa) rimane comunque un danno per i due colossi americani”, prosegue lo spin doctor di Arcadia. “Infatti, a titolo di esempio, è qui sufficiente rammentare che la raccolta pubblicitaria politica ha fruttato a Google in Europa negli ultimi 2 anni un fatturato di oltre 43 milioni di euro, così come, alle scorse elezioni europee i tre leader politici italiani che hanno speso di più sono stati Matteo Renzi con 92 mila euro – spesa relativa al trimestre marzo -giugno 2024 -, seguito da Giuseppe Conte con poco più di 50 mila euro e da Matteo Salvini che di euro ne ha spesi 48 mila”.
Un elemento interessante, a guardare i numeri degli ultimi anni e dell’ultimo fine settimana, è l’investimento di Forza Italia: ha fatto il pieno di consensi alle elezioni regionali calabresi con un leader, Antonio Tajani, che di fatto non ha speso nulla per post sponsorizzati sui social.
Per Giordano il blocco degli annunci politici a pagamento può avere un risvolto positivo: “Almeno per i politici perdere questo ‘turbo’ delle sponsorizzazioni è nell’immediato un bel problema, ma a lungo termine potrebbe rivelarsi una opportunità non da poco. Innanzitutto, perché abbiamo visto che non sempre investire soldi nei post è d’aiuto per i candidati e i leader, anzi più soldi spesi non significa affatto più voti, è la riprova arriva proprio dai dati social di Giorgia Meloni, che tra i politici è quella che non ha speso un euro negli ultimi anni, o di Antonio Tajani. A contare più dei soldi è ancora una volta la reputazione e la percezione di credibilità, altrimenti si ottengono con i post sponsorizzati solo più commenti divisivi. In secondo luogo, senza l’aiuto della pubblicità a pagamento, i candidati saranno obbligati a scendere prima in campo, a presentarsi agli elettori-follower con largo anticipo per poter costruire proprio quel legame fiduciario solido e per raggiungere un numero ampio di utenti”.
Non per tutti la situazione può essere virtuosa, però: “gli annunci personalizzati sono fondamentali per un'ampia gamma di inserzionisti”, scriveva Meta nel suo post, “compresi quelli impegnati in campagne per informare gli elettori su importanti questioni sociali che influenzano il dibattito pubblico. Regolamentazioni come la Ttpa compromettono significativamente la nostra capacità di offrire questi servizi, incidendo non solo sull'efficacia della sensibilizzazione degli inserzionisti, ma anche sulla possibilità degli elettori di accedere a informazioni complete”. Qui non si parla solo di politici e candidati, ma anche di associazioni, no-profit, fondazioni che si occupano di temi sociali e che vedranno il loro spazio di movimento molto limitato.