Finazzi Agrò (Tor Vergata): "Con vibegron, un agonista potente e selettivo del recettore beta-3 adrenergico umano, risultati clinici già visibili a due settimane"
(Adnkronos) - La nuova terapia per la vescica iperattiva – condizione cronica che colpisce circa 3 milioni di persone nel nostro Paese, influenzando negativamente la qualità della vita di chi ne soffre – “è un agonista potente e selettiv


(Adnkronos) - La nuova terapia per la vescica iperattiva – condizione cronica che colpisce circa 3 milioni di persone nel nostro Paese, influenzando negativamente la qualità della vita di chi ne soffre – “è un agonista potente e selettivo del recettore beta-3 adrenergico umano. Fondamentalmente questo farmaco, il cui nome è vibegron, aumenta la capacità vescicale e quindi l’aumento anche della possibilità di pazienti con vescica iperattiva di riuscire a trattenere meglio le urine”. Lo ha detto Enrico Finazzi Agrò, professore ordinario di Urologia e responsabile Uo Urologia del Policlinico Tor Vergata, in occasione dell’incontro Urology Resident Academy tenutosi al Policlinico Tor Vergata a Roma..
“Questo è molto importante perché la vescica iperattiva è una condizione che impatta pesantemente sulla vita, sulla qualità di vita dei nostri pazienti – aggiunge Finazzi Agrò - Abbiamo una necessità di migliorare i nostri trattamenti, vibegron ha il vantaggio di non avere nessun dato di rischio di incremento della pressione arteriosa e questo costituisce un grosso vantaggio rispetto ad altri prodotti attualmente in commercio. I risultati che vengono dai trial clinici sono molto interessanti: la metà dei pazienti – sottolinea - ha un miglioramento superiore al 75% del problema, cioè un 25% di pazienti incontinenti che diventa completamente continente durante il trattamento. C’è un miglioramento già a due settimane che si mantiene fino a un anno secondo gli studi attualmente disponibili e c’è ovviamente un miglioramento di altri parametri come il numero delle minzioni giornaliere e degli episodi di incontinenza durante il giorno”.
Si tratta “di una nuova possibilità in più per noi medici per poter gestire al meglio i nostri pazienti” conclude.